Ancora una volta sei riuscito a trasformare in una grande emozione un pomeriggio trascorso insieme a riflettere su uno dei piu' grandi Incantatori... grazie quepos          S.                   

La leggenda del pianista Incantatore

Ascolta il riferimento di Claudio memorie15 a "Novecento" di A. Baricco

Ricordo le fiabe che qualcuno mi raccontava quando ero piccolo, la fantasia correva in quelle storie molto lontane dalla realta’ e l’incanto era sempre presente a segnare qualcosa di bello, una dimensione magica che si creava intorno ad un mondo innaturale. Incantare vuol dire penetrare nella mente con qualcosa che appaga il proprio sogno, ma rappresenta anche un termine per stabilire una soggettiva voglia di imprimere qualcosa, il fissare di un immagine e marcarne quel momento affinche’ non si perda mai nel mare dei ricordi.

Baricco, nel suo libro "Novecento", gioca con maestria nell’uso di questo termine per sottolineare la filosofia del suo personaggio, che rasenta l’assoluta saggezza nel riuscire a dare una conclusione all’infinito.

Proiettandoci in un piu’ reale presente, possiamo giocare anche noi, senza pretese, ad individuare i motivi che originano un concerto unico nel quale Claudio Baglioni offre se’ stesso riassumendo le tappe della sua vita, quasi a definire i momenti importanti per esorcizzare la costante paura di perdere per sempre quei ricordi che rappresentano la sua definizione di vita vissuta. Lo fa davanti ad un pubblico "familiare" ben disposto ad ascoltare l’uomo Claudio e non il personaggio, un pugno di persone che riescono ad entrare in un teatro, un pubblico distante dalle immense platee di consuetudine al quale il cantante e’ abituato. E’ come se risalisse quei gradini che lo riportano alle perdute emozioni, quelle reali e non compromesse dalla vastita’ di scelte che il successo comporta. Un piccolo mondo fatto di verita’ assolute perche’ toccabili con mano e controllabili all’interno del loro essere, in una esplorazione che manifesta quella certa voglia di rivivere momenti intensi incantandoli, proprio come Novecento era riuscito a fare nell’immensita’ di quel piccolo mondo contenuto in una nave. Non si tratta di paura o voglia di solitudine, non e’ una ricerca introspettiva proiettata alla realizzazione di nuovi progetti, e’ il vero essere Claudio, contro la dispersione di dovere essere Claudio Baglioni. E Claudio e’ capace di incantare, ma non solo il pubblico, Claudio incanta la sua vita, i suoi amori, ed incanta se’ stesso attraverso cio’ che offre a quella famiglia seduta davanti ad un caminetto, in attesa che un nonno appassionato (in senso metaforico), narri le sue storie con gli occhi bagnati dall’emozione di riviverle. Forse e’ proprio da questo che nasce l’esigenza di non realizzare un documento audiovisivo di quella privata identita’, esigenza poi compromessa dalle incessanti richieste del suo pubblico. Ma non importa. Adesso la scala e’ nuovamente posizionata, pronta ad orientarlo verso quel mondo troppo grande, e malgrado l’insicurezza e la voglia di restare nei suoi incanti, lui scendera’ ancora quegli scalini intraprendendo nuovi viaggi, forse alla ricerca dovuta di un orizzonte senza fine che si materializza solo quando, come Gulliver, un uomo raggiunge mete che per l’altrui giudizio sono frutto di allucinante pazzia. No, non importa, il momento e’ finito, e’ stato bello ma e’ finito…. Una storia senza un punto fermo per dire basta, la massima definizione del coraggio. Ma anche andare avanti e’ sinonimo di coraggio, lasciare aperta la porta del futuro per trovare qualcosa di piu’, con la consapevolezza che, ogni massimo raggiunto e’ sempre meno superabile.

Ti aspetto ancora Claudio, aspetto i tuoi nuovi momenti da incantare, non sono un tuo fan ma ti stimo perche’ voglio interpretare nel modo piu’ semplice la tua popolarita’, nel mio gioco, che e’ solo un gioco di fievole e presuntuosa psicologia, voglio immaginare che il Claudio uomo sia il pianista incantatore che naviga in un oceano fatto di persone incantate in una sola, quella che sapra’ leggere fra le righe delle canzoni, il codice segreto dell’anima.

                                                                                                               Quepos

 

Stralcio di libro monologo "Novecento" di Alessandro Baricco dal quale Tornatore ha tratto il film "La leggenda del pianista sull'oceano"

 Tutta quella città... non se ne vedeva la fine..../ la fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine?/ E il rumore/ Su quella maledettissima scaletta...era molto bello, tutto...e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c'era problema / Con il mio cappello blu / Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino /
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino / Primo gradino, secondo /  Non è quel che vidi che mi fermò / E'' quel che non vidi / Puoi capirlo fratello? E' quel che non vidi... lo cercai ma non c'era, in tutta quella sterminata città c'era tutto tranne /
C'era tutto / Ma non c'era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo /
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu / Ma se io salgo su questa scaletta, e davanti a me /
Ma se io salgo su questa scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi / Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita / Se quella tastiera è infinita, allora / Su quella tastiera non c'è musica che puoi suonare. ti sei seduto su un seggiolino sbagliato:quello è il pianoforte su cui suona Dio /
Cristo, ma le vedevi le strade? / Anche solo le strade, ce n'era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una /
A scegliere una donna / Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire /
Tutto quel mondo / Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce / E quanto ce n'e' /
Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell'enormità, solo a pensarla? A viverla.../
Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n'erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita.
Io ho imparato così. La terra, quella è una nave tropo grande per me. E' un viaggio troppo lungo. E' una donna tropo bella. E' un profumo troppo forte. E' una musica che non so suonare. Perdonatemi. Ma io non scenderò. Lasciatemi tornare indietro.
Per favore /

Adesso cerca di capire, fratello. Cerca di capire, se puoi / Tutto quel mondo negli occhi / Terribile ma bello / Troppo bello
E la paura che mi riportava indietro / La nave, di nuovo e per sempre / Piccola nave/ Quel mondo negli occhi, tutte le notti, di nuovo / Fantasmi / Ci puoi morire se li lasci fare / La voglia di scendere / La paura di farlo / Diventi matto, così / Matto
Qualcosa devi farlo e io l'ho fatto / Prima l'ho immaginato / Poi l'ho fatto / Ogni giorno per anni / Dodici anni / Miliardi di momenti / Un gesto invisibile e lentissimo.
Io che non ero stato capace di scendere da questa nave, per salvarmi sono sceso dalla mia vita.Gradino dopo gradino. E ogni gradino era un desiderio. Per ogni passo, un desiderio a cui dicevo addio.
Non sono pazzo, fratello. Non siamo pazzi quando troviamo il sistema per salvarci. siamo astuti come animali affamati. Non c'entra nulla la pazzia. E' genio, quello. E' geometria. Perfezione. I desideri stavano strappandomi l'anima. Potevo viverli, ma non ci sono riuscito.
Allora li ho INCANTATI. E a uno a uno li ho lasciati dietro di me. Geometria. Un lavoro perfetto. tute le donne del mondo le ho incantate suonando una notte intera per una donna, una, la pelle trasparente, le mani senza un gioiello, le gambe sottili, ondeggiava la testa al suono della mia musica, senza un sorriso, senza piegare lo sguardo mai, mai, una notte intera, quando si alzò non fu lei che uscì dalla mia vita, furono tutte le donne del mondo. Il padre che non sarò mai l'ho incantato guardando un bambino morire, per giorni, seduto accanto a lui, senza perdere niente di quello spettacolo tremendo bellissimo, volevo essere l'ultima cosa che guardava al mondo, quando se ne andò, guardandomi negli occhi, non fu lui ad andarsene ma tutti i figli che
mai ho avuto. La terra che era la mia terra, da qualche parte nel mondo, l'ho incantata sentendo cantare un uomo che veniva dal nord, e tu lo ascoltavi e vedevi, vedevi la valle, i monti intorno, il fiume che adagio scendeva, la neve d'inverno, i lupi la notte, quando quell'uomo finì di cantare finì la mia terra, per sempre, ovunque essa sia. Gli amici che ho desiderato li ho incantati suonando per te e con te quella sera, nella faccia che avevi, negli occhi, io li ho visti, tutti, i miei amici amati, quando te ne sei andato, sono venuti via con te. Ho detto addio alla meraviglia quando ho visto gli immani iceberg del mare del Nord crollare
vinti dal caldo, ho detto addio ai miracoli quando ho visto ridere gli uomini che la guerra aveva fatto a pezzi, ho detto addio alla rabbia quando ho visto riempire questa nave di dinamite, ho detto addio alla musica, alla mia musica, il giorno che sono riuscito a suonarla tutta in una sola nota di un istante, e ho detto addio alla gioia, incantandola, quando ti ho visto entrare qui. Non è pazzia fratello. Geometria.
E' un lavoro di cesello. Ho disarmato l'infelicità. Ho sfilato via la mia vita dai miei desideri. Se tu potessi risalire il mio cammino, li troveresti uno dopo l'altro, incantati, immobili, fermati lì per sempre a segnare la rotta di questo viaggio strano che a nessuno ho raccontato se non a te....