Soltanto...Cercando

Da un castello ad un altro. Senza soluzione di continuità. Da un capo all’altro dell’Italia. Per raccogliere la lucina flebile ma cosi forte delle stelle che provano ad illuminare i nostri cieli bui. C’è chi ci prende per matti, per esauriti, per dei poveri sognatori di un domani che non si sa se verrà ma privi di un presente. In fondo siamo persone come tante. Non siamo forse tutti un po’ cosi? Noi poveri uomini in cerca dei perché, come in Cuore di Falco, come nei nostri viaggi.
Sono partito stavolta alla ricerca di un nuovo slancio del cuore, per conoscere daccapo un uomo attraverso la sua musica e non più un musicista attraverso il suo essere uomo. Ma no che non si potrà mai conoscere cosa si cela nel fondo del pozzo dell’animo di un uomo, ma solo tirar su dal secchio dei ricordi qualche piccolo frammento che ci fa star bene e che ci fa star male, ma che ci fa sentire meno soli.
Ancora “nubi di bucato sugli stenditoi dei cieli”, la notte precedente. E poi lampi nel cielo buio, sempre buio, ancora più buio del solito. Notti insonni ce ne sono state tante, risvegli sereni molto meno. Ma le nubi non si diradavano al mattino, poi ancora un sole e un vento a spazzar via le ultime incertezze. Chissà se stasera potrò conoscerlo ancora. E il filo diretto con chi, a due passi dal luogo dell’ennesimo incontro ma ad uno solo dal cuore, ridonava speranza e poi la spegneva. Come in una storia d’amore infelice, le nubi andavano e venivano per il cielo. E poi giù pioggia, come quando ci si lascia senza più aver il coraggio di scambiarsi gli occhi negli occhi, e il cielo piange.
L’ora di partire, ma dentro ci si sentiva sereni come non mai, alla tarda ora di un pomeriggio d’estate, perso nel solito traffico del lunedì, a guardare attraverso i vetri bagnati volti anonimi e vite felici, cercando… Cercando anche lì, come alienato nel barattolo di latta schiaffeggiato dalle gocce del cielo, facce amiche, di una amicizia sconosciuta tanto difficile da trovare ma cosi piena di calore quando ci sente soli con i propri pensieri. Cercando, mentre guidavo sul lungo nastro grigio di un asfalto percorso quante volte non lo so più, amicizia anche dai nuvolosi non più smarriti ma saldi nella loro certezza. Come invidiavo quella certezza di sé. Doveva piovere e pioveva. Il cielo doveva piangere per tanti amori finiti e piangeva. Io dovevo cercare e cercavo. Ma non trovavo. Più passavano i minuti scanditi dai rossi, dai gialli, dai fumi neri dei bisonti disperati che caricavano e scaricavano chissà dove, più l’acqua ribadiva che si stava andando incontro alla prossima delusione. Come un ciclo: prima la speranza, poi la delusione, come la vita a volte. Ma cosa sarebbe la vita senza una nuvola che ti scarica giù la sua rabbia? Ci deve essere come le code ai caselli, impenetrabili, come il parcheggio che non c’è e hai paura e tiri via da un posto del mondo come tanti la tua scatola di latta, macchina senza anima o forse con più anima di te. Troppi forse. Ecco perché si cerca. Poi parli con la gente, provi a tirare su un sorriso da uno sconosciuto e vedi che non è impresa facile. L’ombrello aperto ai piedi di un altro castello, abbarbicato come un vecchio nobile decaduto si aggrappa al suo passato che non esiste più, alla sua terra e dall’alto domina una pianura piena di cemento e di anime che viaggiano e guardi le tue scarpe marroni gia fradice e pensi che non potresti mica asciugarti se stai li.
Mi sembra cosi strano, mi sento solo li sotto quel castello, non ci sono più le facce che mi hanno accompagnato nel precedente viaggio. Ma non c’è tempo di pensare che un primo viso amico mi appare appena mi rendo conto di dove mi trovo. E tutti a dire: “se si farà”, “chissà se si farà” “forse domani” “forse mai più”. Nessuno mi da certezze, me le davo dare da me. Inizio a sentire dentro di me che si farà, ed è strano tutto ciò, io sempre cosi pessimista quando il solo è alto nel cielo come posso divenire ottimista quando un cielo cosi nero ti sovrasta? Sono i piccoli miracoli dell’animo umano, questo mio che amo cosi tanto o troppo poco, ma mai come dovrei.
Un vigile urbano con la divisa asciutta sotto tutta quell’acqua? Ma come farà? I ragazzi e le signore che iniziano l’arrampicata e più avanzano sulla dura salita, più sembrano felici. Non ci sono polveri, erbe che svolazzano, c’è solo quell’odore di asfalto bagnato che ti dà quella strana sensazione di pace interiore. Altri miracoli questi, mentre mi accorgo che non piove già più e quasi mi dispiace dover abbandonare il mio compagno di pensieri e riporlo nello zaino a inumidire altri pezzi di me assieme a me.
Sul terrazzo del Belvedere di S. Leucio due ragazze parlano come per farsi udire, come per testimoniare che anche loro saranno parte di un sogno grande come la paura di perdersi e di non essere più capaci di cercare.
Cercando nei volti di chi monta a piedi lassù, più vicino alle nuvole oramai silenziose ma sempre nerissime, qualche gesto di disappunto, qualche moto di pentimento. E non li trovo, solo sorrisi dalle labbra ansanti e gioia nei volti sudati. Sembra quasi che il viaggio sia finito lì. Lì dove ci si ritrova in tanti e basta. E vagando tra le gente mentre autobus carichi di pellegrini al santuario dei sogni, cacciano i tuoi passi e quasi li invidiano. Perché sono lievi e sereni. Si respira già un’aria diversa, mentre tamburi rullano e scacciano le gocce di pioggia dagli ingranaggi. E un’improbabile balaustra alta e con tante bandiere che sventolando ti annunciando il ritorno delle fresche folate a spingere via le nubi da quel luogo sospeso nel tempo, ti preclude la vista da ciò che forse ancora non vorresti vedere.
Il circo è lì dentro. Il domatore o la fiera da domare pure. E Cercando la solitudine per godersi gli ultimi momenti di sonno dell’anima, quasi con la paura di entrare nell’arena, mentre ormai è già tardi per fuggire via che già le prime note ti hanno inchiodato li. E gli autobus vanno e vengono rombanti, non ti permettono di ascoltare qualche nota che vola nell’etere e qualche parola in musica che è li anche per te.
Brutti cancelli si aprono ma nessuno sembra muoversi troppo velocemente. Ci si gode ancora il fresco vento e già il cielo diviene di un pallido latteo punteggiato come una mucca pezzata che bruca i fili della terra. Ecco, le lucine che cercavo, le stelline, si accendono una ad una, mentre quei volti che guardavo non c’erano più. Ci si attarda ancora ma non c’è più tempo che per un ultimo fugace sguardo triste alla pianura oramai buia e ad un altro castello, laggiù, disabitato dalla vita e dai cuori innamorati.
Non c’è più tempo per pensare, devo entrare nell’arena. E lì non si può più sfuggire. Le sedie davanti al palco strette strette nelle loro infauste file a serrare i ranghi di coloro che prendono posto e che ancora si cercano, si abbracciano e si trovano lì sotto quel castello cosi strano ma cosi bello. E tutti si assiepano in quel cortile che sa d’antico ma che rivive cosi, per un incanto inspiegabile. Chiuso sui tre lati dalle mura in cui si aprono finestre con tende bianche che celavano il re che tornava dalla caccia. E di lato attraverso altri cortili in un dedalo di spazi sempre piu intimi, vivevano ieri tante storie di uomini e chissà se erano migliori delle nostre. E alle spalle il belvedere sul mondo. A volte nella vita ci si pente di cose non fatte, non vissute, che posto incantevole, bisogna tornare presto per vedere se le magie si ripetono con altri animi. O se non è piuttosto l’uomo che sa produrre la magia. Che sa incantare le pietre aride, che sa tirare fuori la vita dal deserto, quando non c’è più speranza, quando non c’è più ragione per andare avanti. La mia acqua dalla luna inizio a trovarla lì, prima che cominci a battere il tamburo della musica.
Transenne che vorrebbero bloccarti anche i più elementari bisogni fisiologici, e ancora code ma qui l’unico semaforo è quello del tempo.
Guardo finalmente negli occhi il mio incontro. E la paura c’è ancora ma via via svanisce. Non bisogna cercare di capire l’uomo, cosi mi hanno detto, e cosi faccio. E’ sempre la stesso brivido quando vedi l’omino bianco, cosi vicino e cosi lontano dai tuoi mondi, che ti chiedi perché. Questa volta è diverso, è un brivido di cuore, è come quando guidando al tramonto sei felice e non sai se è perché torni a casa dopo un giorno sudato o perché Dio ha creato il solo rosso che va a dormire dietro le rocce. Sai solo che è cosi. Domani ti chiederai perché. Ora sogni sotto un cielo calmo.
E uno alla volta, gli attori arrivano e con incredibili sorrisi e gioia ti comunicano che andrai avanti a cercare le tue strade se lo vorrai. Poi iniziano le storie.
Quelle che ti vengono narrate da un cantastorie e che tu a volte non ascolti. Stavolta le senti più tue, proprio perché ripensi a quando nella stanza buia o nella scatola di latta vai verso l’ignoto di te, ti fanno compagnia.
Ascolto l’uomo senza provare a conoscere altro che la sua musica, attraverso cui ci parla di sé ma soprattutto parla di me come tanti altri.
E tornano alle mente le volte in cui vorresti il futuro qui per la paura di non esserci, e guardi la donna che ami con tenerezza e ancora con la paura che venga distrutta nei tuoi stupidi ingranaggi e la lasci andar via, e poi ancora torni ad entrare in te per trovare in te il tuo universo, e cerchi nel buio della notte i tuoi perché, senza nessuno che possa darti un sorriso. E le volte in cui vorresti saltare, saltare, saltare sulla vita e non ne hai la forza e poi ti stupisci di quanta forza sia capace di dare altri nelle cose più piccole del mondo.
Scattano le istantanee, la gente si accalca per vedere, piangere e non so cos’altro.
L’uomo con le rughe non si rivela a tutti, forse non a chi lo vuole capire, ma solo a chi Cercando sulle salite e tra le mura dei castelli, ha la volontà di fermare il tempo e vuol ritrovare anche un po’ di sé.
Si rompono i cordoni, la marea è lì sotto a due passi. Mi ritrovo non so come, con le mani sul palco a saltare, saltare, saltare sulla vita. Quando passa l’uomo cerca mani, sorrisi. Non sento le spinte dietro di me, il cerchio si stringe attorno a me e attorno al mio Cercando. Sfioro timidamente senza troppa convinzione la fredda mano. Quando si ha freddo si cerca il calore dell’amore.
Siamo capaci di donare un po’ d’amore ad altri che non siamo noi stessi? Da qui ripartendo con il groppo in gola e gli occhi sbarrati, osservo seduto senza la solita frenesia di non restare ingabbiato nella trappola delle scatole di latta, le vite che se ne vanno. Mano nella mano, sciamano verso il domani e chissà se qualcuno di quei volti sudati all’inizio per la salita e sudati alla fine, suderanno nelle loro vite come me, come l’uomo dalle rughe, triste incantatore, ingabbiato da sé stesso, ma poeta delle mie solitudini e dei miei incontri, fino alla fine del tempo, fino a che ancora ce ne sarà un po’, per cercare, senza mai smettere.
Cercando la via di casa, lentissimo, mi attardo in discesa, fischiettando sui miei passi Arrivederci o Addio scendo verso un nuovo ignoto ancor più. Con la solita paura di “fare naufragio sulla realtà”, ma almeno sentirsi più vivo per averci provato. E mi attardo ancora sulle strade deserte, guardo le macchine sfrecciarmi addosso, fredde, vorrei tornare indietro a chiedere alla gente cosa ha provato a starsene lì, nonostante l’insipienza di molti, l’energia andata via, la rabbia, il freddo, le cariatidi di cera immobili nelle prime file come quei “guerrieri della luce”. Ma anche loro andranno a dormire felici di esserci stati, cosi mi piace pensare. Come me. Cercando…


Alex di

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