Tutti giu' per terra


Fiuggi, 17/01/10

Fuori dalla tua riva non ha senso
Il mio mare
Fuori dal tuo raggio non ha senso
Il mio sole
Fuori dalla tua neve non han senso
I miei monti
Fuori dal tuo vento non han senso
Le mie vele
Fuori dal tuo viale non han senso
Le mie foglie
Non i miei rami dal tuo albero
Non il mio orizzonte dal tuo cielo
Non la mia gioia o la malinconia
Dal tuo umore
Non ha senso la mia luce
Lontano dai tuoi occhi
Non ha senso la mia sete
senza l’acqua dei tuoi baci
Non han senso le mie mani
Se non possono regalarti carezze.
Non ha senso la mia voce,
il mio pianto e
il sorriso
il mio grido e
il sospiro.
Respirare, dormire o vegliare
Il lavoro, la fatica, la speranza,
l’andare e il tornare.
Nessun senso nemmeno volare
E atterrare.
Non han senso neppure i miei sogni
Senza le tue note d’amore


Rosella

 

Partire è un po’ morire. Ma chi l’ha detta una panzanata simile? Mi dispiace tanto per il signor Haracourt che avrà avuto i suoi buoni motivi per formulare una affermazione simile ma io la penso esattamente al contrario. Tornare è un po’ morire. Sono convinta di quel che dico e ne ho l’assoluta certezza visto che il mio cuore va a ritmo di marcia funebre non appena metto piede sulla pista dell’aeroporto dal quale ero partita appena due giorni prima. Nonostante che le partenze mi procurino forti crisi di astinenza dal mare e dal sole della mia terra, in questo preciso istante non riesco neppure a sentirne quel caratteristico profumo di cui parlano tutti i turisti che ci arrivano per la prima volta e dal quale rimangono inebriati. Nonostante che mi accolgano al mio rientro una temperatura magnanima e un sole che a tutti i costi cerca con prepotenza di farsi largo al padroneggiare dell’inverno, sebbene abbia patito per due giorni al limite dello zero, sotto l’incessante, quasi interminabile percussione della pioggia, tuttavia non ce la faccio a riconoscere quel timido abbraccio di calore a me tanto caro. E’ inevitabile. Nulla è per sempre. Tutto ciò che comincia prima o poi finisce. Ma quando a finire sono le cose belle, gli attimi di pura felicità, le sensazioni di eccitante passione e quelle emozioni che vorresti fossero eterne, allora non ti bastano solo due occhi per piangere tutte le lacrime che il tuo cuore secerne senza risparmio e senza pietà. Ok, Ro’. Smettila di affliggerti e renditi conto di essere atterrata. Deponi ancora una volta i tuoi sogni nel cassetto, col sacchettino di lavanda che ti ha regalato Annarita e riacchiappa la tua quotidianità.
Fabio è in ritardo. In questi due giorni gli ho prestato la mia auto ed è al distributore a far benzina (figuriamoci se non mi prosciugava il serbatoio!). Dice che l’aereo è arrivato in anticipo sull’orario previsto e che mezzora prima, quando è arrivato all’aeroporto, c’era sul display un orario diverso da quello dell’arrivo effettivo. Forse ha ragione. Anche a me il volo è sembrato più corto del solito. Più breve del volo d’andata. Eppure la distanza era la stessa. Mi viene incontro con passo atletico. Cappotto in panno nero e occhiali da sole di tendenza.        

« Ohè, mà. Com’è andata? Ti sei divertita? – mi domanda prendendomi la valigia e caricandola nel cofano, senza aspettare una mia risposta che, si vede lontano un miglio, non gli interessa più di tanto. – Stamattina ha chiamato Angela – continua – Pensava che fossi tornata ieri notte. Richiamala appena arrivi a casa.»
« Ah, sì? E come sarei tornata? In elicottero? E dire che Federica sta a Roma da più di un anno! Dovrebbe aver già imparato gli orari degli aerei! Che stordita!»
« Allora, mamma. Racconta. E così hai conosciuto la mamma di Claudio. E brava mamma! Complimenti! Te l’ha dato il numero di telefono di suo figlio?»

« C’hai poco da prendere in giro! Sapessi che donna carina! L’ho abbracciata. Non ho potuto farne a meno. M’è venuto spontaneo. Lo sai che a me piacciono le persone in là con gli anni. Mi ha ricordato la signora Lai. Lo stesso taglio e colore dei capelli. Un foulard dal colore vivace intorno al collo. Una signora normale. Tutta contenta che così tanta gente fosse lì per il suo figliolo.» Prendo il cellulare e cerco tra le immagini salvate la foto con la signora Silvia che mi ha scattato Annarita. Gliela mostro e lui la guarda di sfuggita mentre rallenta ad un incrocio.

« E’ vero, sembra signora Lai. Ha lo stesso cappotto. E poi è piccola. Chi l’avrebbe mai detto! Sei più alta tu.»
« Hai visto? Questo vuol dire che a Claudio non gli faranno schifo le piccolette. A te io faccio schifo?»
« Oddio. Non mi fai schifo ma vuoi mettere la Canalis o Belen!»
« Che scoperta! Ci mancherebbe altro! Hanno la tua età. Non esiste paragone. Ad ogni modo sono stata molto contenta di aver scambiato due parole con la mamma di Claudio. Mi ha emozionato più che conoscere suo figlio. Gliel’ho pure detto e ti giuro che ero sincera. Se non avessi temuto di importunarla sarei rimasta a farle compagnia. M’è sembrato che non le dispiacesse affatto chiacchierare. Ma se c’è una cosa che odio è l’invadenza. Figurati se proprio io voglio essere invadente!»
« Bisogna saper sfruttare le occasioni. Se ogni volta che ti capitano tu ti tiri indietro, non otterrai mai quello che vuoi.»
« Hai ragione papà» gli dico con ironia. Ma dove mai s’è visto un figlio che dà lezioni di vita a sua madre?
Per tutta la durata del nostro dialogo, mio marito, dal sedile posteriore, non ha aperto bocca. Lui vuole sempre accompagnarmi nei miei «clabberici»(o «clabberiani»?) spostamenti ma non mette mai lingua. Durante questo nostro ultimo viaggetto ha conosciuto quasi esclusivamente donne. Dovrebbe pure lamentarsi? Meglio per lui se sta zitto. Tutte quante si sono meravigliate della sua generosità e comprensione, della sua totale mancanza di gelosia, abituate a dover combattere con mariti anti-Claudio per eccellenza. Mariti che protestano davanti agli occhi sognanti delle loro mogli, che spengono la radio quando c’è Claudio che canta, che cambiano canale quando appare in qualche ospitata televisiva e che lo denigrano spudoratamente trovandogli tutti i difetti di questo mondo. Mio marito no. Lui sopporta con pazienza, subisce e accetta di farsi da parte una volta ogni tanto, quando la mia strada s’incrocia, grazie a Dio, con quella del mio mito. In fondo, cos’altro potrebbe fare? Non ha scelta. O è così o è Pomì, come recita una pubblicità. L’unica altra alternativa possibile è il divorzio. Ergo… Una cosa è certa: lui non si sarebbe mai comportato come il marito di una clabber che, durante la cena pre-raduno tenutasi all’hotel Universo di Fiuggi e organizzato brillantemente da Grazia del sito internet Ancorassieme, non ha aspettato neppure che servissero il secondo. Ha salutato tutti ed è tornato al suo albergo, vinto da una forte nausea che sarebbe andata peggiorando col concerto finale degli Oltre che cantano solo Baglioni. Baglioni o no, mio marito è rimasto al suo posto e ha mangiato tutto. Dall’antipasto al dolce. Ha persino scherzato con un bambino di un anno e mezzo che frignava perché era assonnato e raffreddato. E non è sua abitudine scherzare con i bambini. Sarà perché il piccolo aveva una bellissima mamma? Mah, a saperlo. Lì per lì non ho avuto la benché minima curiosità di chiederglielo, occupata com’ero a chiacchierare a destra e a manca, a far progetti per l’indomani, ad ammirare la meravigliosa foto di Clà che l’organizzatrice aveva messo come segnaposto. Mi sa proprio che dovrei essere io a preoccuparmi di tutta questa indifferenza coniugale. Ci penserò. Ma non ora. Ci penserò un altro giorno. Se mi andrà di pensarci.
Con tutte le valigie mi fermo al secondo piano per salutare Mamma Singer. Mi sento come il figlio il prodigo che dopo tanto è tornato a casa. Ha tenuto in caldo il pranzo, anche se sono ormai le due passate.
« Scommetto che non hai mangiato niente. Chissà che fame avrai! Tu quando vai da Baglioni vivi d’aria. Guardati allo specchio. Sembri una del Biafra!»
« Non è che oltre alla visita dall’otorino devi pure farti vedere dall’oculista? Dove mi vedi magra? Per me sono normale e vado bene così.»
« Ma cosa! – continua – sei pelle e ossa. Mi meraviglia che tuo marito non ti dica niente. Fai pietà quando ti siedi a tavola!» Così dicendo mi riempie il piatto fino all’orlo di pennette al sugo. Scotte. E pure freddine.
« E’ troppa. Togline almeno la metà se non vuoi che scoppi!»
« Mangiala se non vuoi ammalarti. Poi se ti ammali, ti pentirai di non avermi dato ascolto.»
Non le rispondo e cambio argomento. « Come sta zia Sigh?»
Lo scorso Natale zia Sigh è caduta. Durante la notte s’è alzata dal letto saltando le sbarre di protezione e l’hanno trovata vicino alla porta del bagno in un lago di sangue. Si era ferita alla testa e cercava di tamponarsi con un paio di mutande che aveva preso dall’armadio di Mariantonia. Non le hanno messo punti ma la ferita ha tardato a cicatrizzarsi. Dopo la caduta zia Sigh non era più la stessa. Parlava poco e aveva sempre sonno. Così il suo medico ha pensato bene di ricoverarla in ospedale per farle dei controlli più accurati. C’è stata per una settimana e il venerdì, il giorno prima della mia partenza per Fiuggi, era stata dimessa. Quel giorno sono stata con lei fino a tarda sera per aiutarla e farla mangiare. La vedevo sofferente. Non si reggeva in piedi. Ma lei diceva di non aver male da nessuna parte. Era solo molto stanca. La sua compagna di stanza, una vecchietta di novantadue anni, non la finiva più di abbracciarla e piangendo le diceva di volerle bene e di aver sentito tanto la sua mancanza in quella settimana di degenza. Che tenerezza. Mi sono commossa anch’io. Ecco perché mi piacciono le persone anziane. Sono bambini dai capelli bianchi. Tanto bisognosi di affetto. Con zia Sigh finalmente tornata a casa mi sentivo più tranquilla. Potevo partire senza rimorsi di coscienza. Invece sabato mattina, mentre ero sul pullman diretto a Fiuggi, ricevo una telefonata da suor Mabel. Zia Sigh era caduta nuovamente, in avanti, mentre era seduta su una sedia a rotelle. Le si era riaperta la ferita e questa volta i punti erano necessari. « Sono fuori città – le ho detto spaventata – non posso esserle d’aiuto. Chiami senz’altro un’ambulanza mentre io avverto mia madre.» Così ho fatto. Ho chiamato mia madre. Per fortuna mio figlio era a casa e ha potuto accompagnarla all’ospedale. Mamma è rimasta al Pronto Soccorso con zia Sigh fino a notte fonda. Fino a quando, dopo le varie tac, flebo e analisi del sangue, zia Sigh è stata nuovamente ricoverata.

« Come sta? Le hanno messo i punti sulla fronte. Aveva la glicemia alle stelle. Parla pochissimo e dorme sempre. Non mangia più da sola. Bisogna imboccarla. Ma è svogliata… stasera bisogna che vai a parlare con i medici… sai che io non capisco niente di quello che dicono.»
« Certo che ci vado. Mi sento in colpa. Ma chi poteva pensare che sarebbe caduta di nuovo il giorno dopo. Come mai nessuno si è accorto ? Non c’era nessuno lì con lei?»
Quando arrivo a casa mia, disfo i bagagli e carico la lavatrice. Mio marito va al lavoro. Mio figlio va in palestra. Nel frattempo che preparo qualcosa di veloce per la cena, telefono ad Annarita che è tornata a casa qualche ora prima di me. Mi dice che ha rischiato di perdere l’aereo, che è arrivata a Ciampino all’ultimo momento e che ha già nostalgia del raduno.
« Chissà se ce ne sarà un altro – le dico con rammarico – visto come sono andate le cose… e quello che ha detto Claudio su Clab e internet… sui nuovi modi di comunicare… virtualmente… mi sa che questo è l’ultimo… speriamo che ci ripensi… incontrarsi dal vivo è tutto un’altra cosa… come faccio ad accontentarmi di una chat…?»
« Si è scocciato di noi… che tristezza!» aggiunge.
« … e internet è l’unico modo che ha per «scaricarci». Spero vivamente che cambi idea e che senta la nostra mancanza. Sai che per me Claudio è come se facesse parte della mia famiglia e la famiglia, alla fine dei conti, è sempre il miglior rifugio…»
Prima di andare all’ospedale da zia Sigh, mi ricordo che devo telefonare anche ad Angela per dirle che sono tornata e che è andato tutto bene. Tutto bene si fa per dire. Ma le racconterò ogni cosa con calma, un’altra volta, quando ci vedremo a quattrocchi.
Zia Sigh dorme con la testa reclinata su un lato. Il candore dei suoi capelli fa tutt’uno con quello dei cuscini. Ha un grosso cerotto che occupa quasi la metà del lato sinistro della fronte. Sotto il cerotto si intravede una macchia bluastra di sangue pesto. Mi avvicino a lei e le tocco un braccio. Lei socchiude appena gli occhi come per mettermi a fuoco.
«Ciao zia Sigh. Sei pronta per la cena? Vuoi mangiare risotto al pomodoro o preferisci una minestrina?»
Siccome non mi risponde, mi avvicino di più e le dico che il riso sembra buono, di farmi un cenno con la testa se lo preferisce alla minestra. Mi fa segno di sì ed io cerco di sollevarla in modo che abbia una posizione più comoda, aiutandomi con la manovella posta ai piedi del letto. Le chiedo se ha fame e lei mi risponde di sì ma la sua voce è flebile. Ad ogni modo avere appetito è sempre un buon segno. Tra qualche giorno starà meglio e tornerà più in forma di prima.
« Cosa sei andata a fare a Roma?» mi chiede tra una cucchiaiata e l’altra.
« Non ero a Roma. Sono andata a Fiuggi. Al Raduno. Te ne ho parlato tante volte che il mio «fidanzato» ogni anno, anzi oramai ogni due, raduna i suoi fans e canta solo per loro. Quest’anno s’è rischiato grosso. Molte persone, scontente dell’organizzazione, hanno protestato con eccessiva veemenza e se la son presa con Claudio. Non che avessero tutti i torti. In fondo siamo stati trattati male. Siamo stati fuori per ore, sotto una pioggia impietosa e un freddo da cani. Tutti in fila ad aspettare pazientemente che aprissero i cancelli. Io ero semi congelata nonostante il piumino da montagna. Dopo due ore di fila non mi sentivo più i piedi, tanto erano rigidi e mi dolevano. Sembravamo una massa di profughi in cerca d’asilo, dei clochards in attesa di un pasto caldo, degli ebrei in marcia verso la salvezza, dei pellegrini in cammino verso la speranza. Se ce l’avesse ordinato il medico, non l’avremmo fatto. Ho pensato continuamente a quanto è grande il bene che tutta quella gente, me compresa, vuole a Claudio. Ho conosciuto, tra le chiacchiere della lunga attesa, persone che provenivano da ogni parte d’Italia. Dal nord al sud, isole comprese. Molti, come me, erano partiti dal sabato, avevano pernottato a Fiuggi per due giorni e sarebbero partiti il lunedì mattina. Perché purtroppo il lunedì si lavora. Molti altri, con autobus a noleggio, avevano viaggiato per ore e sarebbero tornati a casa in giornata, a notte fonda. Ho conosciuto un gruppo che veniva addirittura da Valencia, in Spagna. Un’amica che ho ritrovato per caso e che avevo conosciuto ad un precedente raduno, m’ha detto che c’era persino un gruppo proveniente dalla Germania. Certo che noi clabber abbiamo di sicuro qualche rotella che funziona male!» le dico tanto per ridere ma lei sembra essersi di nuovo appisolata.
« Zia Sigh, ma hai così tanto sonno? Non hai ancora finito il riso. Ne vuoi altro o preferisci un po’ di prosciutto crudo? Ti sto annoiando col mio racconto?»
Lei riapre gli occhi e mi dice in un soffio che vuole mangiare il prosciutto e di continuare a parlarle del mio viaggio.

« Quando alla fine ci hanno fatto entrare dentro una specie di tendone bianco, tipo quelli del circo, per intenderci, la delusione è stata grande. All’interno non c’era niente. Uno squallore, se confrontato alla Fiera di Roma di un paio d’anni fa. Solo un palco in fondo alla sala. All’ingresso c’era una montagna di tappetini di plastica, grandi quanto il coperchio di una scatola di scarpe, chiunque entrava ne prendeva uno per sedersi per terra. E per terra la moquette era già molto bagnata e sporca di fango a causa della pioggia. Quando io sono entrata, assieme alla mia amica Annarita, c’erano già tante altre persone che discutevano tra loro o chiedevano spiegazioni a quelli dell’organizzazione. Il malcontento era generale. Nessuno era soddisfatto di quella situazione. Molti, probabilmente di quelli che erano arrivati con la propria auto, hanno fatto dietro-front e se ne sono andati, incazzati al massimo. A me non fregava niente di dovermi sedere per terra però avrei senz’altro preferito una sedia. L’avessi saputo in anticipo, mi sarei portata una spiaggina da casa visto che, come ha spiegato la fidanzata di Claudio, quella vera, Clab non aveva soldi a sufficienza. Cinque euro a testa, avremmo potuto fare una colletta di sostegno! Bleah! Eravamo tutti zuppi di pioggia e con le scarpe inzaccherate. Non sapevamo dove poggiare il giubbotto, la borsa, gli zaini, le macchine fotografiche, le telecamere,ecc… Se ti spostavi di un centimetro, perdevi il posto. Un casino da far paura. Ed io che mi ero messa il piumino bianco! Chi sa di che colore sarebbe diventato alla fine della festa. I raduni sarebbe meglio farli in estate. Non fosse altro che saremmo più allenati a star seduti sulla sabbia… Però, sai che ho fatto? Ho girato il piumino al rovescio, l’ho piegato in due e mi ci sono seduta sopra. Almeno un po’ di morbidezza per il mio povero fondo schiena! Fortuna che sono piccola e magra. Pensa a quelle alte un metro e ottanta.
Dove se le mettevano le gambe? Attorno al collo? E quelle un po’ pesanti, chi le tirava su dopo? Ci sarebbe voluta una gru! Senza parlare dei tanti uomini, grandi e grossi! Era un’impresa titanica farli star seduti in venti, forse trenta centimetri di spazio! Comunque ci sono sempre i soliti cafoni e maleducati che arrivano con comodo, magari no, solo in ritardo non dipendente dalla loro volontà, che però devono per forza stare sotto il palco, in prima fila e in piedi. Cosicchè tutti quelli che già stavano seduti con ordine ed educazione se la prendono in quel posto che hanno poggiato sul tappetino della WII. Figurati , zia Sigh, che putiferio. Gente che urlava. Che sembravamo tanti maiali in un porcile, che ci stavano trattando come pezzi di m… e noi minchioni che continuavamo ad applaudire. Qui finisce male, pensavo. Porca la miseriaccia zozza! Ho aspettato questo raduno per quasi due anni, ho speso un fracchio di soldi e poi succede che mi fanno incazzare Claudio e quello se ne va e ci lascia tutti con un palmo di naso. Insomma! Lui non è mica obbligato ad ospitarci all’hotel Excelsior! E’ vero che poteva anche procurarsi un po’ di panche ma oramai che è andata così, lo vogliamo crocifiggere? Ancora la Pasqua è lontana! Forse nemmeno lui sapeva che non c’erano sedie. Gli avranno detto: »Domenica 17 gennaio devi essere a Fiuggi per le quattordici e trenta.» E alle quattordici e trenta lui era puntualmente sul palco a cantare «E adesso la pubblicità». E invece è venuto giù il mondo. Fischi, urla, cori che gridavano « sedie, sedie», pollici girati verso il basso, coprivano la voce di Claudio che continuava a cantare col sorriso stampato sulla faccia. Non riuscivo a rendermi conto se lui aveva capito che qualcosa era andata storta o facesse finta di non vedere e sentire. Decine e decine di tappetini volavano contro il palco. Contro di lui. Sembravano frisbee impazziti. Fortuna che ti amiamo Claudio. Se ti avessimo odiato, ti avremmo fucilato in piazza? E’ questa la dimostrazione di tutto l’amore che possiamo? Una guerriglia durata il tempo di una canzone, durante la quale ho avuto paura. Una paura immensa che qualcuno potesse colpire Claudio e fargli del male, che un tappetino lo centrasse e lo ferisse. Mi sembrava che in quel momento la mia presenza in quel posto rendesse anche me colpevole di un gesto che non approvavo affatto. Ho avuto paura che Claudio se ne andasse mandandoci tutti a quel paese. Ho avuto paura di una sua reazione che annullasse un amore durato tanti anni. Ho avuto paura che in quel frangente si svelasse un uomo che non era il mio idolo. Ho avuto paura per sua madre che stava lì, in mezzo a noi, costretta ad assistere ad uno spettacolo così vergognoso.
Invece l’ho amato di più. Ho capito che lui è proprio così, come ha creduto il mio cuore in tutti questi anni. Lui, con una straordinaria autorità di educazione e dolcezza, ha fatto sedere tutti.
Tutti giù per terra, per poter continuare il magnifico girotondo di cuori al quale eravamo stati invitati. Tutti giù per terra. Nel bene e nel male, ma insieme. Tutti giù per terra, nel sorriso e nel pianto, ma insieme.
Ed è tornato a splendere il sole in una fredda e grigia giornata di metà gennaio cominciata male.
Il suo affetto sincero, la sua autentica commozione, la sua indiscussa generosità hanno riscaldato il freddo patito nella lunga attesa, hanno attenuato il formicolio alle gambe costrette per tanto tempo all’immobilità, hanno alleviato il dolore articolare alle braccia e quello lombo-sacrale, hanno spazzato via ogni nube, ogni ombra. Hanno vinto, come nelle storie a lieto fine, la pace e la gioia dei cuori che cantano insieme le note del medesimo pentagramma. Zia Sigh, mi stai ascoltando ancora?» le chiedo non appena mi accorgo che ha nuovamente chiuso gli occhi. Lei fa cenno di sì con la testa e dal movimento delle labbra intuisco che dice:
« Ti sei divertita» ma non so se sia una domanda o un’affermazione. Le rispondo: »Moltissimo. E’ stata un’emozione incancellabile. Bellissima».
Mi risponde: »Meglio così.»
Ed io le tengo stretta la mano nella mia.

*********************

Zia Sigh se n’è andata. Dopo sei giorni di sonno continuo dal quale non si è mai più risvegliata.
Il suo ultimo sogno è stato il mio Raduno ed è soprattutto per ricordarla assieme a tutti voi che l’avete conosciuta con lo «Sguardo dal palco» che ho voluto salutarla in questo modo. L’unico modo che conosco per dimostrare il mio affetto. Un foglio di carta e una penna e la mia mano che scrive il dettato del cuore...
Per salire più su… dove un sogno è ancora libero… di salire lassù…
 

Rosella

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