Milano, Gennaio 2014

Dieci Dita

Dieci dita a Milano, l’orchestra
Teatro degli Arcimboldi, venerdì 3 gennaio 2014

Mentre sono seduta in compagnia del ricordo vivo e splendido della serata che ora proverò a ripercorrere, fissandone nella memoria emozioni, suoni e colori, mi invade la curiosa sensazione di essere tornata indietro di quasi dieci anni: infatti oggi come a marzo 2004, cui risale il mio primo incontro con unaparolaperte, mi preparo al racconto di un concerto di Claudio, e in entrambi i casi affido proprio a lui il compito di risvegliare in me la fiamma sopita in grado di infondere calore e vita alle mie parole, da troppo tempo stanche e pigre, incapaci di trovare spazio in una mente così scossa dai cambiamenti radicali degli ultimi mesi e continuamente inquieta anche quando imponevo pause alle mie attività. Come allora immagino l'occhio paziente di Silvia, la prima persona che conoscerà queste mie impressioni per poi custodirle e trasmetterle agli altri cuori in ascolto, ed ancora una volta mi è davvero preziosa perché mi sento incoraggiata dalla certezza che, con la sua natura semplice e profonda, saprà accoglierne e comprenderne ogni frase ed aspetto.
Fin dal mio arrivo al teatro con quasi un'ora di anticipo ho respirato un'atmosfera di vivace ma composta attesa, riscaldata dalle tenui note delle canzoni di "Un piccolo Natale in più" diffuse in sala. Poco dopo le 21 il grandioso inizio strumentale del Cantique de Noèl a volume più alto e il primo fragoroso scroscio di applausi hanno annunciato l'ingresso dell'artista, e il suo benvenuto è stata "Solo" eseguita piano e voce, a mio avviso non senza ragione: certamente era l’unico sul palco e il concerto si profilava singolare in tutti i sensi, ma da subito è stato altrettanto chiaro che Claudio avrebbe ricoperto il suo ruolo da protagonista tutt’altro che solo. A noi che lo aspettavamo si è rivolto durante tutta la serata come alla sua orchestra, di cui ciascuno era strumento con la sua voce e i suoi battiti: nelle file più vicine al palco sedevano i primi violini, a suo dire quelli con maggiore responsabilità, uno dei quali è stato da lui abbracciato a pochi minuti dall’inizio, e a seguire tutto intorno violoncelli, fiati e percussioni; ci dirigevano una voce calda e dieci dita che si muovevano con maestria sul piano, la tastiera e le chitarre, e che per oltre tre ore hanno mantenuto costante l’energia e l’intesa fra noi e con lui. Senza fatica noi archi, flauti e clarinetti capivamo quando fermarci in silenzioso e rapito ascolto e quando far udire la nostra voce ed i nostri applausi, ed io strumento fra i tanti mi lasciavo condurre con naturalezza lungo il viaggio che Claudio aveva pensato per noi e con noi, attraverso canzoni scritte a distanza di anni o decenni l’una dall’altra ma legate da rapporti di filiazione, ed episodi più o meno noti della sua umanissima esistenza, apparentemente di poco o nessun interesse ma che destavano la nostra attenzione grazie all'abilità del narratore e alla sua consueta ironia. Ha cantato quasi integralmente l’immancabile casetta in Canadà ricordando quel suo primo improvvisato palcoscenico, e rievocato le sue peripezie di tredicenne a caccia di opportunità come cantante nella difficile Milano di allora, giocando con il suo passato con tenerezza divertita (“I bambini prodigio andrebbero ammazzati da piccoli!”) e con la consapevolezza di chi non è più quel ragazzo che ha sempre visto la vita come un bel ricamo, ma di qua da uomo sa la trama ordita. Sceglie di dedicare il concerto alla madre dopo aver dipinto davanti a noi con le parole la scena del giorno in cui, all’insaputa di tutti, lei si presentò al commissariato e dichiarò di aver guidato una Porsche a folle velocità in autostrada, infrazione per la quale avrebbe dovuto pagare Claudio. La canzone successiva è stata “acqua dalla luna” alla chitarra, e certo far crescere acqua dalla Luna sarebbe un miracolo come poter essere sostituiti dalla propria madre nelle circostanze incerte e scomode della vita; inoltre la madre è anche citata nel testo, per quanto l’autore desiderasse compiere magie strabilianti per guarire qualunque malattia compresa l’indifferenza, quando lei stava male poteva soltanto rimanere zitto accanto al suo cuscino.
“Ragazze dell’est” e “Gli anni della gioventù” erano come una cornice attorno al divertente racconto dei mesi trascorsi in Polonia a diciannove anni, e davanti a noi si mostrava chiara l’immagine di Claudio spensierato, inesperto e pieno di ardore e di sogni; ha conservato quegli anni forti come onde in una memoria bianca e soffice come la neve, e da essa può richiamarli in ogni momento per offrirceli nitidi e cristallini.
L’aspirazione a ricevere e regalare a chi ci è caro note dal Paradiso era l’introduzione a “Dieci dita”, e più che mai ho percepito quella felice melodia come frutto di uno stato di grazia; ne ero convinta fin da quando, a pochi giorni dalla sua uscita, non potevo saziarmi di ascoltarla e riascoltarla con lo stesso stupito entusiasmo. Il piano e la tastiera hanno reso celestiali anche le melodie di “E noi due là” e “Isole del Sud”, quest’ultima interpretata subito dopo “Poster” e definita una sua lontana figlia: se è vero che andare lontano è un sogno comune a tutti o a molti, per chi è in procinto di partire alla ricerca di qualcosa di nuovo la prospettiva ad un tempo fa vivere e morire, si alimentano speranze ed intanto qualcosa dentro si infrange. Altre due canzoni considerate madre e figlia erano “Con tutto l’amore che posso” e “In un’altra vita”, il principio di un amore che toglie il fiato e una lunga storia pienamente vissuta con un epilogo senza una vera spiegazione ma inevitabile.
"I vecchi", scritta quando Claudio aveva circa 30 anni, ora viene interpretata dopo qualche motto scherzoso sulla non più verde età del suo autore, rimanendo intensa e attualissima. Favole e cose tenere racchiuse tra note e accordi si susseguivano così collegate da un intreccio di fili, e a tratti mi tornava in mente il Concert Opera cui ho assistito in quello stesso teatro quattro anni fa; ero quasi altrettanto assorta ma conoscevo i passaggi e lo sviluppo della storia, mentre ora l’incantautore riusciva spesso a sorprendermi e strapparmi risate e grida di approvazione. Nulla mi appariva come già sentito o prevedibile, ed i miei precedenti incontri dal vivo con quella voce non erano che sale, che si scioglieva per dare gusto non al futuro ma a quel meraviglioso presente di cui godevo ogni istante con la stessa sete. Mi ha allargato il cuore il riferimento seppure fugace e indiretto al raduno di Firenze, Claudio ha ricordato che in un’occasione aveva cantato per ben sette ore e mezza davanti ai propri fans, e forse anche allora aveva tralasciato la canzone preferita di qualcuno! E come quel giorno è salito sul palco fra le ovazioni un ospite graditissimo insieme alla sua chitarra, Giovanni Baglioni. Subito prima Claudio si era prodotto con il nostro sostegno in una carrellata a cappella delle sue canzoni diventate inni anche se non ufficialmente tali né scritte su commissione, scherzandoci in suo perfetto stile ("Inno alla presenza, Io sono qui, inno all'identità, sono io, inno all'esistenza, vivi", inno alla fuga, Dagli il via”). Padre e figlio hanno eseguito insieme “E adesso la pubblicità” e in modo fluido, senza uno stacco, è iniziata una specie di seconda parte in cui l'artista aveva bisogno della nostra partecipazione e noi avevamo voci e mani pronte a lasciarsi coinvolgere, L’orchestra quindi stava per accompagnarlo tra alcuni dei suoi maggiori successi. Giovanni ci ha regalato un pezzo di sua composizione alla chitarra rivelandosi un virtuoso “Prodotto della casa”, come Claudio lo ha definito senza nascondere una certa commozione. Alla sua uscita la canzone a lui dedicata “Avrai” al piano ha aperto la serie di brani celebri, da me quasi tutti ascoltati per la prima volta dal vivo in quella versione acustica con un solo strumento e cantati con tutta l’anima. A volte Claudio passava il microfono ai primi violini che all’improvviso da audaci divenivano timidi e spostavano per caso lo sguardo altrove, ma qualche voce aggraziata ha intonato insieme a lui e alla sua chitarra brevi strofe di pezzi senza tempo come "Viva l'Inghilterra" e "Porta Portese". “La vita è adesso” al piano è stata un regalo per il quale non ho ancora smesso di saltare di gratitudine, fatto di parole che quasi ogni giorno ho bisogno di ripetermi e di una melodia capace di incantarmi in qualunque arrangiamento. Poi per un attimo è sembrato che il sipario stesse calando su quel salto, ma quello non era ancora il finale: subito è tornata la voce del direttore a chiudere il cerchio incominciato da “Solo” con due canzoni che mi parevano rappresentare il suo abbraccio e ringraziamento all’intera orchestra, “Strada facendo” e “Con voi”. Forse per me è stato l’unico particolare non proprio inaspettato ma mi ha colmato di gioia, era la conclusione più adatta per questa notte di note e il miglior modo per non interrompere la corrente sottile alla quale volentieri ci eravamo abbandonati, perché questo sogno fu e continua ad essere con noi. Uscivo dal teatro arricchita del calore che dalla prima nota si era irradiato dal palco fino ad ogni angolo e lo raccoglievo come un tesoro, in attesa di moltiplicarlo quando le mie parole avrebbero ritratto almeno l’essenziale di questa mia nuova pagina a tempo di musica e mi avrebbero aiutato a condividerla con chi vorrà provare a leggerla con i miei occhi.


Alissa

Canzone Italiana

 

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